La jeep sale la strada che si inerpica lungo i fianchi del Drakensberg, i Monti del Drago, nel Natal sudafricano. Le anime che la affollano sono quelle di uomini in piedi, malfermi sul cassone posteriore del veicolo e ammaliati dallo strabiliante paesaggio; gli occhi conservano comunque l’attenzione necessaria per comunicare all’autista di fermarsi di botto appena compare, nel cielo o sugli alberi ai lati della strada, un uccello. Le anime sulla jeep sono infatti birdwatcher, che hanno fatto diecimila chilometri per vedere la favolosa avifauna del Drakensberg, la spettacolare regione montuosa condivisa tra il Natal e il misterioso regno del Lesotho. I contatti con l’autista sono piuttosto grezzi, un pugno rumoroso sul tetto dell’abitacolo, ma efficaci.

Le parole jeep e strada, usate nell’introduzione di questo articolo, non rendono precisamente l’idea; la jeep è un veicolo dello scorso millennio, modificato per poter ospitare una decina di persone, scrostato e scassato, ma con un motore che, come negli anni della mia gioventù ci piaceva dire dei nostri enduro a due ruote, va su dai muri. E la strada è un nastro di polvere e buche che ha davvero la pendenza di un muro. Al volante c’è la nostra guida, il piccolo grande Rob Guy, nume tutelare del birdwatching di questa regione, straordinario conoscitore degli uccelli della sua regione, ma esperto anche di geologia, botanica e antropologia.

Rob ci ha appena fatto fatto visitare alcune delle aree più famose del Natal per il birdwatching. Ieri ci siamo svegliati all’alba per raggiungere il villaggio di Ixopo, nelle praterie intorno al quale nidifica la meravigliosa Rondine blu, una specie molto rara che, pur se diffusa dal Kenya al Sudafrica, è molto localizzata in ogni singola regione dove vive. L’incontro con la Rondine blu è stato il clou del primo grande giorno in Natal, durante il quale abbiamo visitato anche la foresta di Xumeni. Un tempo le foreste sudafricane afromontane si estendevano lungo le regioni orientali del Sudafrica, quelle che ricevono le piogge più intense, coprendo senza soluzione di continuità le terre tra le province del Capo e lo Zimbabwe orientale. Oggi sono ridotte a fazzoletti verdi, piccole isole che corrono come un rosario tra le praterie dell’interno e le foreste pluviali costiere. E’ difficile il birdwatching in foresta e così ci siamo dovuti accontentare del melodioso canto del Tordo terragnolo e del Pettirosso stellato, ma abbiamo visto benissimo quel tripudio di penne colorate che vestono il Trogone di Narina e del Turaco di Knysna, abbiamo visto il Pappagallo del Capo, sempre più minacciato di estinzione, e abbiamo visto, credo di ricordare, altre trenta specie di uccelli.

E oggi, sui primi contrafforti del Drakensberg, ci siamo fermati più volte e Rob ci ha mostrato il Martin pescatore dal semicollare, un martino mai facile a vedersi, in nessuno dei numerosi paesi africani dove vive, la Monachella striata, il Picchio terragnolo, la Silvia di Layard, l’Erbarolo di Barratt, il Codirossone sentinella, solo per citare alcune delle specie più carismatiche che frequentano i fianchi del drago.

Non vediamo l’ora di arrivare al Sani Pass, un po’ perché sappiamo che il birdwatching lassù sarà spettacolare, un po’ per dare requie alle schiene e alle braccia, con le quali ci abbarbichiamo al corrimano che Rob ha sistemato sulla jeep. Ma i tempi e le previsioni del birdwatcher devono sempre fare i conti con l’imprevedibilità dell’oggetto delle sue attenzioni: un frullio d’ali sulla strada, il pugno imperioso di arresto e siamo già tutti fuori ad ammirare un’incredibile accoppiata: lo Zuccheriere di Gurney e il Saltarocce pettoarancio, due specie estremamente localizzate, entrambe endemiche del Sudafrica.



I Promeropidae e i Chaetopidae sono due famiglie endemiche della regione sudafricana. La prima comprende le sue specie di "zuccherieri", sorta di gigantesche nettarinie che sono strettamente legate alla vegetazione della "protea". Lo Zuccheriere di Gurney (a sinistra © Justbirds) estende i suo areale dalla Repubblica Sudafricana al Mozambico, attraverso il regno del Lesotho (l'altra specie, lo Zuccheriere del Capo è endemico della Repubblica Sudafricana, ed è in essa confinata ai massicci montuosi dela Provincia del Capo). Le due specie di "saltarocce" sono endemiche della Repubblica Sudafricana: lo splendido Saltarocce del Drakensberg (a destra © Justbirds) è presente anche in Lesotho, mentre il Saltarocce del Capo è confinato alle province di Eastern e Western Cape

Rob approfitta della sosta per parlarci un poco del distretto di Underberg, che si estende ai piedi del Drakensberg. Il distretto, abitato fino a 120 anni fa solo da piccole tribù di cacciatori boscimani, è stato l’ultima regione del Natal a essere colonizzata dall’uomo bianco, che è riuscito a distruggerne, in poche decine d’anni, lo splendido ambiente naturale. Solo fino a cinquant’anni fa questa regione era il corridoio naturale dove migravano centinaia di migliaia di Gnu codabianca, di cui oggi sopravvivono solo pochi esemplari in tutto il Sudafrica. Le foreste sono state quasi completamente distrutte e le sterminate praterie di un tempo sono state spezzettate, arate e trasformate in piantagioni aliene, pascoli e campi. Rob ci mette passione a raccontare le terre che vedeva quando aveva i capelli neri, e gli animali che allora c’erano e oggi non ci sono più. Per fortuna, continua, è sufficiente salire verso il Sani Pass per trovare una natura ancora incontaminata, ricca di specie vegetali e animali.
 
Il tipico paesaggio delle Montagne del Drago: imponenti pareti rocciose che si ergono su un terreno brullo drappeggiato da rada vegetazione, soprattutto di Proteacee, una famiglia il cui genere Protea, endemico del Sudafrica, conta nel Drakensberg sei specie. Il favoloso Zuccheriere di Gurney è indissolubilmente legato a queste piante (© Attilio Giorgio Mutti)
Quella fortuna è condivisa da noi, che possiamo alzare gli occhi ad ammirare le stupende vette che ci sovrastano. Questi rilievi spettacolari sono il risultato della sovrimposizione dei basalti del  Cretaceo alle arenarie del Triassico; la loro vetta più alta è il Thabana Ntlenyana, che raggiunge i 3483 metri.

La successiva fermata è alla frontiera tra la Repubblica Sudafricana e il Lesotho. Le due bandiere garriscono al vento e mentre Rob sbriga le formalità di ingresso in Lesotho, noi sbinocoliamo in giro e facciamo due chiacchiere con le numerose persone in attesa come noi del visto sul passaporto. Chiediamo scusa in anticipo per l’eventuale scortesia di interrompere la conversazione per puntare il binocolo sull’improvviso uccello, ma è mezzogiorno e a quest’ora poche specie sono allo scoperto. Così impariamo da una coppia sudafricana in viaggio di nozze che il trekking in Lesotho è estremamente popolare, e un signore che sta facendo a Underberg una vacanza di pesca mi dice che le trote locali sono eccezionali; tre antropologi che sono qui per vedere i famosi graffiti rupestri dei boscimani ci invitano ad unirsi a loro. E con altri birdwatcher locali, che stanno scendendo dal Sani Pass, scambiamo le rispettive osservazioni.

Di nuovo sulla jeep, questa volta in Lesotho, e sempre su una strada che strada non è, e che si snoda sempre più tortuosa verso il punto più alto. Ricordo che Rob mi ha parlato di come, quando e da chi è stata tracciata questa mulattiera. La via al Sani Pass fu aperta nel 1948 da un ex-pilota di Spitfire chiamato Godfrey Edmonds che, il 26 ottobre di quell'anno riuscì ad arrivare in cima al passo con la sua Jeep residuata di guerra: l'impresa non fu agevole poché, oltre al motore del fuoristrada, furono necessarie funi, argani e l'aiuto di una volenterosa truppa di basuthu. Edmonds ci mise sette ore per coprire i 33 kilometri da Underberg al pianoro del Sani Pass, ma la strada era aperta. Fino ad allora il tracciato, che serviva a portare cibo e altre vettovaglie dal Sudafrica al Regno delle Nuvole, era percorso da animali da soma e la vera e propria apertura al traffico ebbe luogo nel 1955. La strada era, ed è tuttora in verità, piena di curve secche e tornanti e il soprannome con cui alcuni di essi erano conosciuti (Ice Corner, angolo di ghiaccio, Big Wind Corner, angolo del grande vento, Suicide Bend, curva del suicidio) non ispiravano gran voglia di mettersi in macchina verso la cima. Potete leggere la storia dei pionieri del Sani Pass a questo link.

Dietro un tornante si apre una delle viste più spettacolari di questa giornata e, precedendo di un attimo il nostro segnale, la jeep si ferma. Siamo di fronte ad una parete verticale di maestosa bellezza, con crepacci, pinnacoli, cengie e creste serrate. La montagna  ci evoca immediatamente il mondo dei rapaci e, tempo tre minuti, assistiamo al seguente spettacolo: un Gipeto appare nel cielo, seguito da altri due suoi simili che si mettono a volteggiare vicino alla cresta rocciosa, quando su di essi si getta, in mobbing, un Corvo imperiale collobianco, e su di esso una coppia di Lanari indispettiti. I Gipeti continuano a volare vicini per un paio di minuti, poi atterrano su una cengia dove due di essi iniziano ad accoppiarsi, mentre i falchi e il corvo continuano a litigare tra loro . Il Gipeto è un uccello a cui noi europei siamo consueti, persino in Italia sta diventando sempre più frequente, ma vederlo dall’altra parte del mondo, nell’unica area di riproduzione dell’Africa australe, e vederlo così come l’abbiamo visto è stato assolutamente indimenticabile.

Man mano che saliamo gli uccelli diventano sempre più radi e ci domandiamo perché Rob si sia fermato, questa volta non sollecitato da urla e pugni. Ci dice che quella è l’area preferita da due rarissime specie di pispole, la Pispola di roccia e la Pispola montana. E ci vogliono cinque minuti perché io e i miei amici ci rendiamo conto di cosa voglia dire avere una guida che conosca profondamente la propria terra: a destra la prima specie, cento metri a sinistra quell’altra, bene in vista su una pietra a cantar la sua canzone d’amore.

La jeep non sarà bella, ma si rivela un pozzo di sorprese: Rob sguaina dal fianco del veicolo un asse di legno, lo gira di novanta gradi, ne estrae due zampe legnose e ci dice che il pranzo sarà pronto in  pochi minuti. Gli chiedo di dirmi qualcosa del Lesotho e, mentre tira fuori primi, secondi e dessert, mi racconta. Il Lesotho corrisponde al settore più elevato dell’Africa meridionale ed è quasi completamente montuoso, con i Drakensberg che lo orlano sul suo lato orientale; rientra per intero nel bacino idrografico del fiume Orange. La vegetazione è rappresentata dalle varie specie di protea e altre piante endemiche e, nei suoi settori più alti, da praterie e torbiere. Era abitato originariamente da boscimani e ottentotti e fu occupato, all’inizio del XIX° secolo dai Basotho, un gruppo appartenente all’etnia Bantù. E’ uno dei paesi più poveri al mondo in quanto a reddito pro-capite, reddito che proviene in gran parte dall’agricoltura e allevamento. Il pranzo è pronto e mentre mangiamo continuiamo a cercare uccelli, nella speranza di trovar qualcosa di nuovo. E invece c’è qualcuno che
 
Un giovane mosotho (con il termine basotho si intendono gli abitanti del moderno Lesotho, ma il singolare di basotho è mosotho), corredato di un'artigianalissima chitarra (la cassa armonica è una latta di olio) e degli stivali di gomma che il governo del Lesotho regala ad ogni cittadino al compimento del 18° anno di età. La nazione basotho emerge grazie alla diplomazia del re Moshoeshoe I°, che riunì i clan sparsi d'origine Sotho, che si erano dispersi, all'inizio del XIX sec. (© Attilio Giorgio Mutti)
trova noi. Due ragazzi basotho si avvicinano, chiedendo, con gesti chiari e inequivocabili, sigarette e denaro. Sappiamo che non è giusto, ma li accontentiamo e come ricompensa uno di loro si accovaccia vicino al nostro accampamento ed estrae da sotto il drappo di lana colorato con cui è vestito uno strano strumento a corde, la cui cassa di risonanza è una latta di sardine, o qualcosa del genere. I suoni non sono melodiosi, ma il viso del giovane è dolcissimo e la scena è suggestiva. Rob scambia qualche parola in zulu con il giovane (i basotho parlano una loro lingua, che ha poche affinità con lo zulu); alla mia domanda del perché tutti i ragazzi indossino degli improbabili stivali di gomma, risponde che il governo del Lesotho ne regala un paio ad ogni cittadino al compimento dei 18 anni.

Smontato il piccolo accampamento risaliamo in auto e ci apprestiamo all’ultima scalata, fin sul passo, dove pernotteremo al Sani Mountain Lodge, l'albergo più elevato di tutto il continente africano (2874 metri slm), come ci informa un pannello sulle mura dello chalet. Intorno all’hotel è un tripudio di piccoli passeriformi che becchettano sul terreno, più disponibili a farsi avvicinare dagli esseri umani avidi di fotografie, che desiderosi di volar via contro un vento sferzante. Zigoli del Capo, Lucherini del Drakensberg (specie endemica), Beccasemi testastriata e Passeri del Capo incrementano il nostro carniere virtuale. Siamo incuriositi dalle mille buche che traforano il terreno e chiediamo lumi a Rob, che ci dice che sono le tane del Ratto di Sloggett, pasto principale del rapace più comune da queste parti, la Poiana sciacallo, che anche in questo momento veleggia alto nel cielo, bellissimo tricolore bianco, rosso e nero.



Il Lucarino dei Drakensberg (a sinistra © Justbirds) è un piccolo fringillide endemico di Natal e Lesotho ed è molto comune al Sani Pass, dove il terreno intorno all'hotel più alto dell'Africa è traforato da una fitta rete di cunicoli, la città sotterranea del simpatico Ratto di Sloggett (a destra © Attilio Giorgi Mutti)


Anche il roditore, come gli zigoli e i lucherini, non è particolarmente preoccupato e salta fuori dalla tana: le orecchie arrotondate e il muso da cincillà lo rendono molto più carino degli schifosi (chiedo venia) surmolotti urbani. Prima della cena e del riposo facciamo in tempo ad esultare ancora una volta: nella prateria spoglia sull’altopiano è sceso un piccolo stormo di Ibis calvi, una delle specie più agognate dai birdwatcher e parente del nostro paleartico Ibis eremita. Brutto, molto brutto, anzi… bellissimo, questo ibis vive solo in Lesotho e nelle adiacenti regioni della Repubblica Sudafricana. E’ abbastanza comune, ma il fatto che sia confinato ad una singola regione, ne ha determinato l’inclusione nella Lista Rossa degli Uccelli del Mondo.
 
L'Ibis calvo è la controparte australe del nostro Ibis eremita, entrambe specie del genere Geronticus, entrambe specie a rischio di estinzione (anche se il "nostro" Ibis eremita sta peggio perchè è considerato dall'IUCN criticamente minacciato, mentre l'Ibis calvo è "solamente" vulnerabile). L'aspetto dell'ibis è alquanto bizzarro, con quella specie di caschetto si pelle nuda rosso acceso sulla zucca! (© Attilio Giorgio Mutti)
Nel lodge più elevato dell’Africa i turisti consumano una cena frugale ma saporita, e, spezzati da vento, emozioni e sobbalzi, cascano addormentati su letti troppo piccoli, in locali che son loculi, e dopo aver visitato un gabinetto comunitario. Ma ne vale la pena. E ci si rende conto di quanto ne valga la pena quando ci si sveglia all’alba, e si strabuzzano gli occhi su ciò che si stende venti metri più in basso, un’oceano di nubi bianche, un mare di latte che cancella il mondo fino all’orizzonte. C’è tempo per la colazione, per salutare il gentilissimo staff del lodge, per tirare a sorte chi starà nel cassone e chi seduto al fianco di mister Guy, e per chiedere a quest’ultimo se abbiamo perso qualcosa (nel gergo dei birdwatcher vuol dire se abbiamo “ciccato” qualche specie). Rob ci dice che siamo stati incredibilmente fortunati e che abbiamo visto tutto quello che c’era da vedere. E’ quasi un peccato; per tornare da queste parti avrò bisogno di qualche scusa che non abbia a che vedere con gipeti e saltarocce.

Foto del titolo. La strada che mena al Sani Pass è meravigliosamente definita nella lingua inglese: hairpin curves, da hairpin, forcina per capelli. I 33 km da Underberg al Sani Pass è un continuo susseguirsi di... forcine per capelli (© Vaiz Ha, CC BY 2.0)